L’Occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte, in Italia e all’estero, avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.
L’Occhio di Leone giunge a Bologna dove è in corso HERBARIUM. I fiori sono rimasti rosa di Alessandra Calò per Maison laviniaturra, a cura di Azzurra Immediato e che, sino al prossimo 31 ottobre, con uno speciale evento il 22, pone in relazione arte, moda, memoria, fragilità e universo femminile in maniera del tutto unica. Nelle righe che seguono incontrerete un racconto che è un po’ intervista, un po’ narrazione tra passato e presente, il solo modo, attraverso lo sguardo dell’Arte, di poter rendere straordinario il quotidiano, che ha preso forma dal laboratorio che l’artista ha sviluppato con persone fragili dell’associazione Città senza barriere di Reggio Emilia, insieme con i Musei Civici di Reggio Emilia, culminati la scorsa estate in un focus del Festival Fotografia Europea ed un libro d’artista edito da Studio Faganel, poi traslato nella sintesi originale in Maison laviniaturra .
Come è nato Herbarium? Cosa ti ha spinto nella direzione di una ricerca volta alla fragilità umana, fisica ma anche emotiva di un tempo non più raccordabile? Alessandra Calò : Herbarium nasce da un’idea di inclusione – tematica condivisa dal progetto “Incontri! Arte e persone”. Mi sono chiesta se la fragilità può essere considerata risorsa e se io stessa potevo trarre ispirazione dal margine per realizzare un’opera.
È nato così, ed insieme con altre preziose storie, idee e memorie, il progetto HERBARIUM. I fiori sono rimasti rosa di Alessandra Calò progetto che, dopo una serie di metamorfosi, è giunto a Bologna, per una mostra site specific ideata con la stilista Lavinia Turra e la sua Maison di moda. Ancora per qualche giorno, infatti, lo storico atelier di pret-à-porter bolognese, firma del Made in Italy, ospita nei suoi spazi opere che Alessandra Calò ha gemmato nell’alveo di un percorso complesso, affascinante e di grande preziosità concettuale. In un luogo che si propone come soglia tra la natura dei primi colli bolognesi e la vibrante città emiliana, ove creatività ed arte hanno sempre camminato a braccetto, Maison laviniaturra ha dato avvio, la scorsa primavera, ad un itinerario nell’arte accompagnandosi alle figure chiave di artiste italiane le cui ricerche pittoriche, scultoree, installative e fotografiche sono state in grado – e ancora lo saranno nei prossimi mesi – di instaurare un fecondo dialogo con le creazioni stilistiche dell’atelier, secondo i termini di un discorso sorprendente, affascinante e non così comune. Un progetto teso ad una visione al femminile, non di chiusura, bensì di ispirazione, tale da incanalarsi in una dimensione, preziosa nel nostro Paese, di rapporto antico tra Arte & Impresa, un legame spesso perduto, sospeso ma che, nelle prospettive che sono la predittività dell’arte e dell’eterno femminino, sanno ritrovare forza e splendore. A pochi giorni dal finissage della mostra bolognese, abbiamo incontrato l’artista Alessandra Calò e le abbiamo posto alcune domande che, nel narrare la nascita del progetto HERBARIUM, ha saputo render nota di un cammino estetico ed umano di grande rilevanza.
Fotografia, memoria, stratificazione. Una filosofia del costruire percorsi visivi che affondano le radici nel passato altrimenti disperso. Come è nato questo tuo peculiare approccio e a cosa si raccorda, in particolare, nel tuo vissuto personale?A.C.: Percepisco l’essere umano come risultato di svariate sovrapposizioni… Forse per questo motivo ho scelto questo modo di lavorare per esprimermi.
Già, poiché il lavoro di Alessandra Calò e la sua ricerca si sviluppano anche in direzione di svelamento identitario e interpolazione tra esistenzialtà che sopraggiungono nel presente grazie all’itinerario costruito di volta in volta, laddove materia ed extramateria traducono esperienze familiari ed extra tali seguendo un cadenzato ritmo che non è – solo – quello dello scatto ma anche quello della ricostruzione, di un viaggio a ritroso che trova nel qui ed ora nuova forza. Nel riconoscimento dell’altro da sé, inoltre, avviene un sortilegio che delinea i perimetri di una trasformazione in grado di oltrepassare i limiti del noto e di ciò che viene dato per ovvio e le possibilità che l’artista offre a ciò che entra nelle sue opere è la possibilità di raccontare la propria storia. Nel testo critico che accompagna la mostra bolognese, Azzurra Immediato scrive: ‘I non luoghi della dimensione mnestica hanno la capacità di definire scenari inimmaginati ed inconsueti, delineando, tuttavia, itinerari spesso ammantati di stupore e maraviglia… ed è probabilmente nella costruzione per affezioni – consce od inconsce – che si edifica una stratificazione di matrice ontologica, materica ed immaginifica in grado di gemmare una sorta di compendio attraverso cui agguantare ciò che è destinato all’oblio. La ricerca che riconosce l’animo umano come abitante di questa terra, con il suo mistero esistenziale e la sua attesa immanente, è parte dell’abbecedario attuato da Alessandra Calò, nei suoi progetti artistici ed in particolare da Herbarium. I fiori sono rimasti rosa che ha posto in relazione fotografia, arte e fragilità. Cosa narra Alessandra Calò? Il suo linguaggio precipuo, quello fotografico, si innerva in modo profondo con una semantica costruttiva di percorsi visivi che affondano le radici in passati condannati all’obnubilamento e che, al contrario, trovano nella sensibilità dell’artista – e del suo occhio principe – la salvezza dalla dispersione. Herbarium sublima un cammino mosso dall’osservazione delle antiche raccolte naturalistiche sino alla realizzazione di un erbario rayografico, processo attuante il ‘tentativo di comprendere la fotografia contemporanea teso alla realizzazione di una performance dove le mani dei protagonisti rappresentano il gesto immaginato. A sigillare l’esperienza, parole antiche ma allo stesso tempo familiari, ritrovate: un ponte temporale che ci ricollega con il nostro passato’. Un’esperienza radicatasi in una ramificazione di rarità, umane e naturali, attraverso cui la sperimentazione continua per farsi esegesi della meraviglia dell’imponderabile, della bellezza che rimanda alla dimensione essenziale dello spirito e che fa del difetto, dell’imperfezione, il carattere di una plusvalenza ontologica nell’alveo della purezza umana, laddove la verità non è una certezza bensì una pluralità di punti di vista tali da rendere veritiere talune dinamiche.’
Per Herbarium hai avuto modo di riportare sulle opere antiche testimonianze scrittorie. Ci racconteresti qualche dettaglio in merito? A.C.: Nell’armadio che custodisce i famosi erbari di Filippo Re, abbiamo scoperto un quaderno datato 1883 a nome Antonio Cremona Casoli, allora quattordicenne. Sulla prima pagina, di suo pugno, è riportata una lettera di “giustificazione” per chiunque avesse ritrovato quell’erbario: era fatto per diletto e non per scopo scientifico. Era stato fatto per passione, per ricordo delle stagioni, per non dimenticare i fiori del giardino… Per fermare la giovinezza? Questo erbario aveva qualcosa di romantico (ed anche l’epoca lo confermava). La scrittura riportata al fianco di ogni specie era un frammento di esistenza, una parola “familiare” (a volte in dialetto) che dall’Ottocento ad oggi era rimasta invariata. La calligrafia di Antonio, oltre a denotarne il carattere, si è fin da subito trasformata in un ponte temporale che ha abbattuto qualsiasi barriera. Non c’è stata azione compiuta da me e il gruppo in cui non ci si chiedesse “lui” cosa avrebbe detto.
Nel percorso di Herbarium hai coinvolto persone cosiddette ‘fragili’. In che modo, al contrario, ti hanno mostrato tutta lo loro forza? A.C.: Sono state le persone fragili a coinvolgere me. Questo progetto è nato da una commissione dell’Assessorato Cultura di Reggio Emilia, che da anni porta avanti il progetto “B Diritto alla Bellezza” il cui manifesto intende costruire un luogo ideale dove fragilità e creatività possano incontrarsi per generare nuove opportunità di inclusione sociale. Essere fragili non significa essere deboli. Nei quattro mesi di lavoro con Paolo, Valentina e Valentina, Flavia, Cinzia e Caterina ho percepito le stesse ed identiche mie fragilità nonché la stessa forza. Ci immaginiamo persone diverse da noi, ma siamo tutti diversi. Ci convinciamo di essere perfetti o imperfetti ma è solo il nostro corto punto di osservazione sull’altro.
In un simile lavoro, in un simile approccio, il contrasto tra reale e ideale assume un ruolo di nuova identità, di scontro che appare, però, nella sua più tangibile verità. Entro questa prospettiva, poi, il lavoro di Alessandra Calò si è relazionato con il fare creativo della stilista Lavinia Turra: attraverso scampoli di stoffa lavorati con tecniche antiche di colorazione e stampa praticate dalla Calò, la stilista felsinea ha dato origine ad una serie di capi di moda unici, realizzati secondo la sapienza che contraddistingue l’atelier bolognese e mediante una sorprendente armonia tra le due diverse ricerche personali. Si legge ancora, ed infine, nel testo che accompagna la mostra: ‘Maison laviniaturra diviene nuovo custode, prezioso scrigno dell’ispirazione e della visione extramaterica di Alessandra Calò. La profondità del suo incedere artistico si mostra quale esperienza di una reversibilità dimensionale, di tempi e luoghi in grado di ‘ricucire’ scampoli di vite ove casualità e causalità definiscono i poli di un retromondo invisibile.’ Ed infatti, la mostra, nelle settimane di un autunno incredibile, ha dato vita, giorno dopo giorno, tra i capi unici dell’Atelier, una messa in scena divenuto ‘varco immaginifico ed onirico, ove verità storiche, fotografiche, scientifiche e chimiche fanno eco al sogno della memoria e alla bellezza di ciò che è al di là da venire.’ E dove, per dirla con parole di Blaise Pascal che l’artista cita ‘il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce’ … ma l’arte si.
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