“Come l’acqua, il gas o la corrente elettrica entrano grazie a uno sforzo quasi nullo, provenendo da lontano, nelle nostre abitazioni per rispondere ai nostri bisogni, così saremo approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni, che si manifestano a un piccolo gesto, quasi un segno, e poi subito ci lasciano”. [Paul Valery, 1929]
Curata da Francesco Zanot e allestita negli spazi espositivi del MAST, IMAGE CAPITAL. La fotografia come tecnologia dell’informazione è il risultato della collaborazione tra il fotografo Armin Linke e la storica della fotografia Estelle Blaschke, ricercatrice dell’Università di Basilea. Un progetto visivo estremamente ampio e ambizioso che ha visto una ricerca lunga quattro anni volta a raccontare una storia della fotografia diversa: non quella del medium come mezzo artistico o come semplice mezzo di riproduzione dell’immagine ma come importante mezzo di produzione del reale. Attraverso testi, immagini d’archivio, video e altri materiali Linke e Blaschke esplorano i diversi utilizzi di quella che Linke ha chiamato in conferenza stampa usefull photography. La fotografia “utile”, votata all’elaborazione, archiviazione, protezione e scambio di informazioni visive all’interno di ogni processo di produzione, dall’ambito culturale fino a quello scientifico, dal commerciale a quello industriale. In un percorso di trasformazione che ha cambiato radicalmente la nostra relazione visiva con il mondo.
IMAGE CAPITAL, appunto. Perché nella società capitalista la fotografia non domina più soltanto l’immaginario collettivo, ma molto di più. Anziché essere soltanto i soggetti della rappresentazione, gli oggetti del nostro mondo vengono creati sulla base delle fotografie stesse e delle loro rielaborazioni, invertendo di fatto il vecchio rapporto unidirezionale. E quando parliamo di Capitale, in relazione alle immagini, parliamo di questo, del potere inscritto al loro interno, nelle infinite didascalie di metadati che portano con sé, informazioni che conferiscono a chi le possiede, a chi le utilizza e sa come farlo, poteri sconfinati. Ed è chiaro a tutti che, al di là dello specifico fotografico, queste trasformazioni si traducono nella società in fondamentali ricadute sul piano economico e politico. Un processo innescato molto tempo prima dell’attuale società dell’informazione, già dagli anni Cinquanta, quando le organizzazioni basate sul modello capitalista cominciavano a dipendere dai sistemi di comunicazione e dall’accesso alle informazioni. Poi è venuta la fotografia digitale e dopo ancora l’Intelligenza Artificiale. Le macchine riconoscono automaticamente i soggetti davanti all’obiettivo, i software governano interi processi di produzione, mentre gli algoritmi scelgono immagini al posto nostro. La mostra esplora questi processi, la loro storia e la loro attualità in un percorso suddiviso in sei sezioni: Memory, Access, Protection, Mining, Imaging, Currency. L’allestimento rifiuta il modello classico di appoggio alla parete, evocando nello spettatore l’interazione di un ipertesto, all’interno del quale un contenuto chiama l’altro, citazioni, fotografie, video, emergono dalla parete, raccontando una storia diversa, dove la fotografia non è opera d’arte ma espressione della società post-capitalista. Con un valore economico, sociale, industriale.
If you don’t have a photographic memory, get one. [Kodak, 1966]
La sezione Memory, racconta la capacità delle fotografie di raccogliere e immagazzinare informazioni. Attraverso archivi, cataloghi, inventari e sistemi di classificazione, fino all’architettura di database e piattaforme digitali, le fotografie difficilmente sono “soltanto” immagini. La loro digitalizzazione ha potenziato le funzioni di archiviazione e duplicazione in forma di dati o documenti, scansioni o screenshot, convertendo ogni oggetto in un formato processabile e dando vita a nuove memorie visive. A proposito delle modalità di archiviazione e reperimento delle immagini, anche la loro indicizzazione rappresenta un grande tema all’interno della mostra. I metadati che sono inscritti all’interno delle immagini spesso stratificano su più livelli di lettura, incorporando al loro interno più didascalie risalenti anche a periodi storici molto distanti. La sezione Access, in questo senso, mostra quello che non vediamo: le immagini si fondono con pixel, metadati, geodati, dettagli tecnici, didascalie e copyright, ogni singola fotografia è accompagnata al suo interno da una catena testuale fondamentale non soltanto per processare le immagini ma anche per trovarle e condividerle negli ecosistemi digitali.
The issues raised by electronic technology become that much more difficult to grapple with if one does not take the photograph itself seriously. [Fred Ritchin, 1990]
Le fotografie portano con loro l’idea che ogni cosa, ogni luogo, oggetto, persona, esiste anche come immagine. Protection, la terza sezione della mostra, indaga le strategie per la conservazione a lungo termine di questo fiume di immagini e delle relative informazioni che contengono. Nei primi decenni del Ventesimo secolo, era il microfilm che permetteva di ridurre gli spazi di archiviazione e i costi di produzione, garantendo l’accesso da remoto a grandi quantità di materiali prima non disponibili. Oggi, le fotografie sono legate a infrastrutture materiali, fatte di cavi, schermi, computer, server, reti elettriche, che le rendono visibili e accessibili. Tra i backup e sistemi di protezione a lungo termine più importanti c’è sicuramente Iron Mountain, una cava di calcare esausta, nella Pennsylvania occidentale, che funge da deposito sotterraneo in cui oggi lavorano oltre duemila persone, che ospita raccolte di fotografia, rulli di pellicola in celluloide, documenti cartacei di importanza cruciale. Quello che un tempo era un sito di stoccaggio che produceva duplicati fotografici di riserva è diventato oggi una multinazionale miliardaria di gestione dei dati.
[Photographs are] not so much an instrument of memory as an invention of it or a replacement. [Susan Sontag, 1977]
Se è vero che le fotografie contengono una grande quantità di informazioni, allo stesso tempo si rendono necessari i sistemi per poterle estrarre. Mining [estrazione] è dedicata proprio a questi processi di raccolta e sfruttamento delle immagini stesse, il cui contenuto viene utilizzato a vantaggio dei settori dell’industria e della sicurezza, nelle tecnologie impiegate per il riconoscimento automatico. Oggi la computer vision si è diffusa ad ampio raggio nei campi dell’ingegneria, dell’industria manufatturiera e agraria, come parte della robotica e della progressiva automazione dei processi di produzione, in un sistema in cui le fotografie diventano immagini operative. La fotografia allora non è più un mezzo di riproduzione della realtà, ma formula anticipatoria, mezzo di produzione di essa. Rendere visibile, è sempre stata la funzione dell’immagine fotografica, in quanto strumento di visualizzazione e registrazione la fotografia ha avuto un ruolo essenziale per lo sviluppo scientifico, ingegneristico e industriale. Nella sezione Imaging, vediamo come le pratiche di rendering e modellazione degli oggetti, sviluppate per replicare elementi naturali o artificiali con straordinaria fedeltà, sostituiscono gli oggetti fisici con la loro rappresentazione visiva, costruendo gli ambienti virtuali del futuro, in una completa trasformazione dell’esperienza umana.
8.000 checks can be photographed on one 100-foot roll of Recordak Safety Film – that’s economy. [Rekordak, 1950]
Alla fine di questo racconto di trasformazione del mezzo fotografico, e delle funzioni che svolge all’interno dell’odierna società capitalista, nell’ultima sezione, Currency, si arriva al fulcro della questione, quella che dà il titolo alla mostra ed esplicita il valore economico delle immagini. Al di fuori della sfera artistica, infatti, le fotografie non hanno un valore autonomo, fuori dal mercato dell’arte, il loro valore è dato dal lavoro enorme necessario a produrre un’immagine e dai servizi e infrastrutture ad esse associati. Quello che emerge, dai numerosi documenti esposti in mostra, è quanto le immagini siano diventate merce di scambio del capitalismo informatico, all’interno del quale le fotografie sono sfruttate in contesti molto diversi: dal contribuire alla ricerca scientifica o alla sorveglianza fino a influenzare i risultati delle ricerche e personalizzare le pubblicità. I dati generati da un’immagine, ben oltre l’epoca della riproducibilità tecnica, acquisiscono tanto valore quanto l’immagine stessa.
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